Una cassetta degli attrezzi per combattere la disinformazione

Concepita come una guida “aperta”, individua gli strumenti più efficaci a seconda del contesto.

Folco Panizza | ricercatore dei comportamenti e delle decisioni prosociali, Scuola IMT Alti Studi Lucca

Immagini generate dall’intelligenza artificiale, bot malevoli, sciami di account falsi orchestrati da agenzie straniere: non sorprende nessuno che Internet sia diventato un caos di disinformazione. Ma in un anno in cui si prevede che quasi la metà della popolazione mondiale andrà a votare, non si può lasciare senza far niente che la rete e i social media siano invasi da contenuti falsi. 

Esistono delle vie di uscita per arginare il fenomeno. In un articolo appena pubblicato sulla rivista Nature Human Behaviour, un gruppo internazionale di ricercatori, di cui il sottoscritto fa parte, ha identificato e analizzato l’efficacia di una serie di possibili interventi, una sorta di cassetta degli attrezzi, fornendo anche una guida semplice al loro utilizzo. L’idea di partenza è proprio che non esiste una soluzione unica al problema della disinformazione. Quindi, se la tipologia di disinformazione varia nel formato e nel contenuto, lo stesso dovrebbe valere per la proposta di intervento. La parte difficile è ovviamente identificare lo “strumento” giusto nelle circostanze giuste. 

Prendendo in esame oltre 80 pubblicazioni scientifiche sull’efficacia dei vari tipi di intervento contro la disinformazione, abbiamo compilata una guida che ne comprende nove tipologie – dal debunking alla formazione in media literacy – ciascuna corredata dalle indicazioni sul target e lo scopo per cui utilizzarla, da alcuni esempi, e da un giudizio sull’evidenza empirica della sua efficacia.  Il “toolbox”, disponibile online, è un work in progress e, a differenza delle normali pubblicazioni accademiche, verrà aggiornato nei prossimi mesi e anni. 

Oltre a essere aggiornate per stare al passo con il panorama in continua evoluzione della disinformazione, le prove raccolte provengono da ricerche condotte in sei continenti, fornendo così indicazioni utili sulla diversa efficacia degli interventi in contesti diversi: ciò che funziona in un paese o in una situazione potrebbe non funzionare in un altro o in circostanze diverse. Ad esempio, le prove suggeriscono che le misure preventive per stimolare il ragionamento logico degli utenti possono essere efficaci nei gruppi con alti tassi di alfabetizzazione, ma che funzionino meno nei gruppi sociali in cui pensare in modo astratto non è così frequente. In tali comunità si preferisce la confutazione “vecchia scuola” delle false informazioni: il cosiddetto debunking, il loro smascheramento.

Altri interventi sembrano avere un’efficacia più estesa, come spingere gli utenti a non lasciarsi distrarre e a concentrarsi sull’accuratezza del contenuto che stanno condividendo. Tuttavia, per fare un altro esempio della specificità delle situazioni, questo strumento sembra avere un impatto limitato sul lungo termine, poiché gli utenti possono via via desensibilizzarsi. Ricordate per esempio come gli avvertimenti sui contenuti riguardanti il COVID-19 e i vaccini nei post di Instagram o Facebook siano rapidamente passati in secondo piano e quasi inosservati dopo poche apparizioni sui nostri feed?

L’obiettivo finale del progetto è rendere tutte queste informazioni accessibili sia alle persone che ai decisori politici. L’idea stessa del toolbox, infatti, è nata per superare le barriere insite nelle pubblicazioni scientifiche, spesso considerate tecniche e inaccessibili. Con un formato ad accesso aperto e l’uso di un linguaggio comprensibile, le informazioni approfondite e dettagliate del toolbox potrebbero potenzialmente dare lo spunto per progettare nuove politiche e per guidare le riforme su come rendere le piattaforme sociali più vivibili.

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