Un asfalto a prova di pioggia

Dallo studio dell'attrito tra superfici grazie alla simulazione numerica potrebbero nascere asfalti "super-drenanti".

Michael Lebed/Rights-Managed

Guidare su strada bagnata può essere rischioso, lo sappiamo tutti. Sebbene esistano già asfalti che drenano in modo piuttosto efficiente l’acqua, non c’è ancora una soluzione ideale per ottenere un asfalto che minimizzi i rischi del guidare con la pioggia, sul bagnato o dove magari si sono formate pozzanghere. E non c’è neppure una descrizione accurata del problema. Sono molti, infatti, i fattori che interagiscono nel rendere la strada più o meno sicura: oltre alle caratteristiche dell’asfalto stesso, l’usura delle gomme del veicolo, l’attrito che si crea tra gli pneumatici e la strada asfaltata, il modo in cui la pioggia o altri liquidi, per esempio l’olio, modificano l’aderenza tra ruota e terreno, e così via.

I ricercatori del MUSAM lab della Scuola IMT Alti Studi Lucca hanno tra i loro ambiti di studio proprio l’analisi di come avvengono le interazioni tra superfici ruvide, come quelle tra pneumatico e asfalto. In uno studio pubblicato sull’International Journal of Solids and Structures con colleghi del Dipartimento di Mechanical Engineering dell’Imperial College di Londra, gli studiosi descrivono proprio il nuovo metodo computazionale messo a punto per simulare al computer i problemi di contatto tra superfici ruvide e complesse.

Alla base della ricerca c’è uno strumento chiamato profilometro, che serve ad analizzare le superfici e a ricavarne la geometria in termini di dati al computer. I dati relativi alla geometria dell’asfalto sono stati forniti dalla Faculty of Civil Engineering dell’Università di Rijeka (Fiume, Croazia), partner del progetto di ricerca. “La superficie viene tradotta in una struttura di dati corrispondente alle coordinate di ciascun punto nello spazio, le quali vengono poi assegnate dal programma alla superficie virtuale ricreata al computer”, spiega Jacopo Bonari, ricercatore del MUSAM e tra gli autori dello studio. “Questa superficie virtuale viene poi utilizzata dal software per simulare problemi di contatto, come l’attrito”. Questo metodo era già stato introdotto negli ultimi anni dai ricercatori del MUSAM, senza però arrivare al livello di dettaglio attuale. “Il nuovo studio ci permette di passare da due a tre dimensioni, e dunque di simulare i fenomeni in maniera più realistica e con minori approssimazioni”, continua Bonari. “Inoltre, ci permette di considerare la presenza di forze di adesione, fenomeno molto importante e non trascurabile quando si analizzano le superfici con un elevato livello di dettaglio.”

I dati acquisiti sul profilo dell’asfalto confluiranno inoltre nel database Wiki Surface, progetto collaborativo internazionale sviluppato proprio dall’unità MUSAM che raccoglie immagini di superfici ruvide naturali e artificiali.

Il modello usato a Lucca permette di studiare al computer quello che fino ad ora veniva studiato sperimentalmente in laboratorio con costi maggiori, utilizzando strumenti come il british pendulum in grado di misurare la resistenza allo scivolamento. Questo “pendolo” è dotato di una punta in gomma, che simula la superficie di uno pneumatico. Lasciandolo cadere e scorrere su una pavimentazione, per esempio un pezzetto di asfalto, si può misurare di quanto la forza di attrito generata frena il moto del pendolo, e dunque calcolare il coefficiente di attrito tra le due superfici.

Gli studi di simulazione condotti a Lucca potrebbero avere un impatto anche sulla comprensione di ulteriori fenomeni, come la degradazione e il danneggiamento di elementi industriali. Ricerche future permetteranno inoltre di risolvere questi problemi di contatto utilizzando soluzioni alternative più semplici, ma difficilmente attuabili fino ad oggi.

Marco Maria Grande

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