Sogni da archiviare

Il database Somnieve consentirà di esplorare nuove ipotesi sull'esperienza onirica.

sogno

I sogni, che da sempre affascinano l’umanità per le trame che la nostra mente tesse mentre in teoria siamo assenti da noi stessi, sono da alcuni decenni anche al centro della ricerca scientifica. Che genere di esperienza rappresentano? Perché c’è chi sogna tutte le notti e chi dice di non farlo mai? Perché ci appaiono così strani e assurdi, eppure in qualche modo pieni di significato? E altre volte, invece, banali, semplici fotocopie di scene di vita quotidiana?

Un gruppo di ricercatori del MoMiLab della Scuola IMT coordinato da Giulio Bernardi è al lavoro per mappare i sogni delle persone, in quello che fino a oggi è lo studio più completo a livello internazionale per campione e per quantità di dati raccolti. Lo scopo di questa mappatura, in corso da quattro anni, e dalla cui analisi cominciano a scaturire i primi risultati, è avere un base solida di dati per comprendere il fenomeno del sogno, e confermare o smentire alcune delle ipotesi in circolazione, per esempio se e come i sogni cambiano con l’età, in base al sesso, e allo stato di salute o di malattia delle persone.

Messaggi dalla notte

Per costruire il database dei sogni – chiamato Somnieve, e che sarà messo a disposizione di tutta la comunità scientifica – è stato chiesto a una platea di volontari di riportare al mattino la loro esperienza e i loro ricordi di sogni della notte precedente. Per aumentare l’affidabilità dei racconti, diversamente che in altre ricerche, ai partecipanti allo studio viene fornito un registratore vocale e viene chiesto di produrre il resoconto subito dopo il risveglio, per due settimane consecutive. “I partecipanti devono riportare se ricordano di avere sognato o no, se hanno l’impressione di avere sognato ma non ricordano il sogno, di raccontare il contenuto del sogno se sono in grado di ricordarlo” spiega Valentina Elce, ricercatrice della Scuola IMT che lavora alla costruzione e all’analisi di questo archivio. Per tutta la durata dello studio, i partecipanti indossano inoltre un braccialetto, chiamato actigrafo, che misura vari dati, come la durata del sonno e della veglia o eventuali risvegli durante la notte. All’inizio e alla fine del periodo di registrazione dei sogni, i partecipanti sono sottoposti a test e questionari psicologici che misurano diversi fattori, dai livelli di ansia all’interesse nei sogni, alla predisposizione al daydreaming (l’attività di sognare a occhi aperti), fino a test di memoria e sulla capacità di concentrazione.

Finora hanno partecipato all’esperimento (il reclutamento è ancora in corso) 220 volontari tra i 18 e i 70 anni, e sono stati raccolti quasi 3.000 report mattutini, dei quali oltre 1.600 sono racconti di sogni. Facendo una prima analisi dei dati raccolti, grazie anche ad algoritmi di intelligenza artificiale, i ricercatori hanno iniziato a dirimere alcune ipotesi su quali fattori influenzano la nostra probabilità di svegliarci al mattino da un sogno. “Finora si pensava che le donne sognassero più degli uomini”, osserva Bernardi, professore in psicologia generale alla Scuola IMT e coordinatore del progetto. “In realtà non abbiamo trovato conferma a questa idea. Il fattore che meglio predice la probabilità di ricordare i sogni è l’attitudine che le persone hanno verso i sogni stessi e il sognare; il fatto che per esempio siano interessate o incuriosite da queste esperienze mentali notturne, o diano loro una importanza specifica”. Potrebbe darsi che le donne ricordino più sogni degli uomini o dicano di sognare di più solo perché in genere danno più importanza all’esperienza onirica. 

Sogni per tutte le stagioni

Un’altra idea finora accettata è che da giovani si sogni di più che da vecchi. Ma secondo l’analisi dei dati di Somnieve, l’avanzare dell’età non sembra portare a una diminuzione dei sogni. Anche in questo caso, i dati dello studio potrebbero fornire una spiegazione alternativa di questa credenza: a favorire i sogni è la durata del sonno, più si dorme, più si sogna. Poiché con l’avanzare degli anni si tende a dormire meno, può darsi che le persone più anziane sognino meno semplicemente perché dormono meno a lungo. Con l’età aumentano invece i soggetti che hanno al risveglio la sensazione di aver sognato ma non ricordano che cosa: sono i cosiddetti white dreams, sogni bianchi. Lo stesso fattore, la durata del sonno, potrebbe spiegare l’osservazione che era stata fatta durante la pandemia, quando alcuni sondaggi avevano suggerito che le persone tendevano a riportare di sognare di più: dato che con il lockdown non c’era la necessità di spostarsi per andare al lavoro, probabilmente dormivano più a lungo.

Lo studio sembra smentire anche altre idee che circolano da tempo nella comunità scientifica, per esempio che le persone con più immaginazione siano quelle che sognano e ricordano di più i sogni. “Non abbiamo trovato nessuna associazione particolare con questo tratto della personalità”, conferma Elce. “Dai dati della mappatura non emergono neppure associazioni tra il sognare e avere o meno una buona memoria”.Una curiosità che è emersa dallo studio è invece che i sogni sembrano cambiare con le stagioni. “In inverno c’è una minore tendenza a sognare – ovvero vengono riportati meno racconti di sogni – rispetto all’estate” dice ancora Bernardi. Possiamo ipotizzare che questo dipenda da variazioni nelle nostre abitudini notturne e nel tipo di sonno che facciamo, ma ulteriori studi saranno certamente necessari per verificare queste supposizioni. Insomma, più crediamo di essere vicino a comprenderli, più il mistero sui sogni si infittisce.

Chiara Palmerini

Potrebbero interessarti anche

SocietàTecnologia e Innovazione

Intelligenze artificiali, errori umani

Quando l’AI sbaglia: perché accade, e come evitarlo.

Mente e Cervello

Quattro lezioni facili sul cervello

Un progetto di divulgazione video mette le neuroscienze alla portata di tutti.

Mente e CervelloSocietà

Pillole di razionalità #2 – Giusto o sbagliato può dircelo la scienza?

Ecco come si studia la moralità in laboratorio.

Mente e Cervello

Tecnostress, quando l’uso della tecnologia sul lavoro diventa un problema

Un gruppo della Scuola IMT studia questa forma di disagio psicofisico, e progetta interventi per prevenirlo e ridurlo.