
Si prendono cura dell’orto e delle galline, partecipano ai lavori nella vigna e nell’uliveto, al confezionamento del vino e dell’olio e alle consegne ai ristoranti della zona, danno anche una mano per le degustazioni. Praticano ballo, yoga, scherma, palestra, tennis, kayak, rafting, fanno camminate nella natura, vanno al mare, visitano città d’arte, mostre e musei. Sono le attività ricreative e di lavoro dei giovani adulti con neurodivergenza di tipo autistico che partecipano al progetto Scipione. Sulle colline di Lucca, negli spazi della società agricola Pieve S. Stefano – Villa Sardini, sono coinvolti in un programma che, sotto la guida di un gruppo di operatori dedicati, cerca di valorizzare il potenziale individuale dei ragazzi e di favorire la loro autodeterminazione e indipendenza.
Il progetto Scipione mette in pratica molti dei principi che sono alla base della più recente ricerca neuroscientifica sullo sviluppo ed il benessere del cervello, in particolare il cosiddetto arricchimento ambientale. Questo concetto nasce nell’ambito della ricerca sugli animali, e fu inizialmente portato all’attenzione della comunità scientifica da Donald Hebb, uno dei padri della psicobiologia. Hebb notò che alcuni ratti che aveva portato a casa dal laboratorio come animali da compagnia per i figli sviluppavano maggiori capacità di svolgere compiti cognitivi, rispetto ai conspecifici cresciuti in cattività. Teorizzò che l’esposizione a un ambiente stimolante, molto diverso da quello delle sterili gabbie di un laboratorio di ricerca, producesse dei cambiamenti benefici nel cervello degli animali, migliorandone le funzioni cognitive.
Da quella intuizione, lo studio dell’arricchimento ambientale ha preso campo in moltissimi laboratori di ricerca. Dal punto di vista sperimentale questo tipo di ricerca si svolge allevando gli animali (inizialmente principalmente roditori, ma in tempi recenti si è puntato anche sui primati non umani) in gabbie ampie, capaci di ospitare un gran numero di individui. Le gabbie sono corredate di giochi, ruote per correre e labirinti. La loro conformazione viene modificata sistematicamente per garantire imprevedibilità e dinamismo. Ad oggi, dopo decenni di ricerca, non solo l’osservazione di Hebb è stata confermata, ma sono anche stati svelati numerosi benefici dell’arricchimento ambientale per il benessere del sistema nervoso, dalla promozione della plasticità sinaptica, al potenziamento della neurogenesi adulta, dalla riduzione dei fenomeni neuro-infiammatori, all’aumento di espressione di neurotrofine. Tutto questo favorisce la riorganizzazione dei circuiti cerebrali grazie a cambiamenti molecolari auto-indotti.
Ma se l’arricchimento ambientale porta questi risultati positivi negli animali sperimentali, è possibile applicarlo a beneficio delle persone? Lamberto Maffei, neuroscienziato che per anni ha dedicato la sua ricerca proprio allo studio dello sviluppo del cervello e della sua plasticità, propose ormai diversi anni fa che l’ambiente arricchito potesse influenzare in generale lo sviluppo cerebrale. Verificò questa ipotesi mostrando che roditori nati e cresciuti in ambiente arricchito raggiungevano più rapidamente la maturità delle funzioni visive, grazie a un’azione dell’ambiente su specifiche molecole guida dello sviluppo cerebrale. “L’ambiente agiva su queste molecole ad una età così precoce che tale effetto non poteva però essere attribuito alle componenti visive dell’ambiente, in quanto a quell’età la luce non poteva ancora agire sulle cellule visive” spiega Nicoletta Berardi, professoressa a riposo dell’università di Firenze, che ha vissuto lo sviluppo di questo ambito di ricerca in prima persona. “La ricchezza dell’ambiente agiva tramite le cure materne, più accurate in ambiente arricchito che in ambiente non arricchito, quindi tramite il contatto, una stimolazione tattile”.
A questo punto, il gruppo si Maffei si chiese se lo stesso principio si applicasse anche all’uomo. In un esperimento effettuato in collaborazione con l’IRCCS Fondazione Stella Maris e con la neonatologia pisana, il gruppo di ricerca di Maffei ha mostrato che massaggiando neonati umani e neonati roditori si otteneva lo stesso effetto di accelerazione dello sviluppo visivo e, anzi, era tutto lo sviluppo cerebrale a essere promosso. Queste ricerche mostrano insomma che a promuovere lo sviluppo cerebrale è nient’altro che il contatto affettuoso!
I benefici dell’arricchimento ambientale si applicano dunque anche agli esseri umani e possiamo immaginare questo approccio come una valida alternativa alla farmacoterapia; insomma una specie di “farmacoterapia endogena”, come suggerisce Alessandro Sale, dirigente di ricerca presso l’Istituto di neuroscienze del CNR, il quale ha iniziato a trasporre il concetto di ambiente arricchito in persone adulte. “Abbiamo completato di recente uno studio in cui somministravamo sessioni di esercizio fisico a pazienti affetti da ambliopia (occhio pigro), una condizione in cui uno dei due occhi esprime una ridotta capacità visiva a causa dell’indebolimento delle connessioni nella corteccia visiva primaria”, racconta Sale. “I nostri risultati mostrano come l’attività fisica migliori la capacità di recupero di questa condizione, migliorando la plasticità corticale”. Ma non è tutto. Nell’Area della Ricerca del CNR di Pisa è stata istituita una ‘palestra della mente’ dedicata (principalmente) a soggetti anziani. Questo luogo, al momento unico in Italia, rientra nel programma ‘Train the Brain’ ed offre ai partecipanti sessioni di esercizio fisico e attività che stimolano i processi cognitivi. Lo studio è ancora in corso, ma dai risultati preliminari sembra che questo approccio permetta di rallentare in modo clinicamente significativo la progressione del declino cognitivo legato all’età, che possa insomma essere utilizzato come una sorta di farmacoterapia endogena, ridimensionando l’uso di farmaci per far leva sulle capacità plastiche che il cervello già possiede.
Una sfida ulteriore è provare a utilizzare il concetto di ambiente arricchito a beneficio delle persone neurodivergenti. L’esercizio fisico è una delle principali componenti attraverso cui l’ambiente arricchito esercita i suoi benefici sul cervello. Tuttavia, quando l’attività fisica si combina con un’esperienza emotivamente significativa, l’impatto sulla qualità della vita può essere ancora più profondo. E alcune esperienze con pazienti affetti da malattie neurologiche anche gravi iniziano a dimostrarlo. Michela Fagiolini, professore associato della Harvard Medical School e direttrice di IN-CNR, ha avviato grazie alla collaborazione con un’associazione di pazienti e la Harvard Medical School un progetto di attività natatoria per bambine affette dalla sindrome di Rett. Questa condizione rappresenta una grave patologia dello sviluppo cerebrale, caratterizzata da disabilità intellettiva, difficoltà respiratorie, assenza di linguaggio e quasi totale incapacità di comunicazione non verbale. La malattia, inoltre, comporta un progressivo deterioramento delle capacità motorie in tutti gli arti, rendendo il movimento sempre più difficoltoso. Proprio per questo è stato scelto il nuoto, una buona opportunità di esercizio anche per chi ha difficoltà motorie: anche le persone non in grado di camminare possono muoversi in acqua con maggiore facilità.
“L’iniziativa si chiama ‘Adaptive Swim Program’ (programma di nuoto adattato)” spiega Fagiolini. “Ogni weekend, alcuni membri della squadra di nuoto dell’Università di Harvard si incontrano in piscina con le ragazze affette da sindrome di Rett, creando un’opportunità di interazione che si è rivelata utile per entrambe le parti: i nuotatori si appassionano all’esperienza, così come le ragazze sviluppano un forte legame con il programma. In alcuni casi, le pazienti hanno persino iniziato a comunicare ai genitori la loro impazienza e il desiderio di partecipare. Durante il weekend, all’orario in cui dovrebbero partire per la piscina, alcune di loro manifestano segni di entusiasmo e attirano l’attenzione dei genitori per assicurarsi di non perdere l’appuntamento”.
Questa esperienza sembra insomma mostrare che il beneficio va ben oltre il miglioramento motorio: si crea un’opportunità di condivisione che arricchisce il corpo e la mente, fornendo a queste bambine uno spazio in cui sentirsi coinvolte, attese e felici. Non solo: anche i volontari neurotipici acquisiscono attraverso questa una nuova consapevolezza della neurodiversità. Attraverso l’interazione con le ragazze, comprendono che, al di là delle difficoltà, ognuno possiede una propria forza interiore e un desiderio di vivere e connettersi con gli altri.
Uno degli aspetti cruciali dell’arricchimento ambientale è la condivisione, la connessione tra le persone, qualunque sia il loro “neurotipo”. Ad oggi, invece, rimane molto difficile organizzare programmi che sfruttino i benefici dell’arricchimento ambientale e la mescolanza tra le persone. Ci sono ovviamente ragioni economiche che ostacolano la possibilità di mettere in piedi questo genere di iniziative. Ma c’è un altro motivo su cui vale la pena ragionare. Tendiamo spesso a pensare che le persone neurodivergenti debbano essere protette dalle sfide e dalle difficoltà, finendo per inserirle in contesti di impoverimento. Basti pensare ad alcuni progetti pensati con le migliori intenzioni, ma che finiscono per trasformarsi nel contrario. Un esempio è il sostegno scolastico che talvolta si svolge isolando i “ragazzi difficili” dalle classi, anche per diverse ore alla volta. Un altro sono i programmi di inserimento lavorativo in cui vengono assegnati compiti alienanti e ripetitivi, talvolta inutili e privi di un effettivo riconoscimento. Certo, si tratta di sforzi pensati nella direzione del benessere di alcune categorie considerate “fragili”, ma viene da chiedersi se questo tipo di logica, in cui la compassione si fonde con lo stigma, non sia obsoleta.
Il progetto Scipione, grazie a un’intuizione spontanea, prova a ribaltare proprio questa logica e a ricreare le condizioni ideali che si ipotizza possano favorire il benessere del cervello. Alternando attività ludico-sportive, partecipando ai lavori in azienda e ad attività culturali, in un contesto di condivisione tra le persone, il programma ricrea una realtà complessa e dinamica, in molti modi analoga alla definizione empirica di arricchimento ambientale. I genitori riportano di aver notato dei progressi dei ragazzi grazie alla partecipazione alle attività del progetto, in particolare un aumento dell’autonomia e del senso di responsabilità. Resta ovviamente da vedere se si tratti di miglioramenti evidenziabili anche all’osservazione clinica.