Gli esseri umani tendono a favorire le persone a loro più vicine: familiari, amici, membri del gruppo cui appartengono. Se c’è da fare una donazione, un regalo, da favorire qualcuno con il proprio voto, di solito si tende a scegliere questo nucleo più ristretto. Nelle comunità e nelle istituzioni moderne, però, ciascun gruppo non interagisce nel vuoto, ma in una società più ampia che contiene sia specifici gruppi locali, sia gruppi globali. A volte, per il bene collettivo, sarebbe meglio che le persone superassero l’istinto a scegliere il “particolarismo” locale, e si orientassero verso il gruppo più ampio. Ma a quali condizioni le persone riescono a superare l’egoismo innato, e a optare per l’altruismo?
Come si studiano i dilemmi sociali
Uno studio recente di ricercatori della Scuola IMT Alti Studi Lucca e dell’Università di Pisa indaga proprio su questo interrogativo. Per lo studio dei meccanismi di interazione tra i gruppi, gli studiosi hanno utilizzato un modello chiamato public goods game o gioco dei beni pubblici. “Si tratta di una situazione sperimentale che rappresenta un dilemma sociale, una situazione di conflitto tra il proprio interesse personale, che spinge verso la scelta di non contribuire per nulla al bene pubblico, e l’interesse comune, che porterebbe tutti a contribuire al massimo al bene pubblico”, spiega Veronica Pizziol, dottoranda in economia alla Scuola IMT. “Le persone devono decidere, nel nostro caso in un esperimento online, se e con quanto denaro contribuire a un progetto comune, che rappresenta il bene pubblico, e che dà un ritorno a tutti, anche a coloro che non hanno contribuito per niente”.
Egoismo versus altruismo
Nello studio Multilevel Public Goods Game: Levelling up, Substitution and Crowding-in Effects, i ricercatori hanno diviso i partecipanti in due gruppi, composti ciascuno da quattro individui, ponendoli di fronte a scelte che potevano favorire o il proprio gruppo, o quello collettivo composto da entrambi i gruppi. I risultati mostrano evidenza sia di una prosocialità di natura parrocchiale che di una prosocialità di natura universale, anche nei casi in cui la scelta è meno vantaggiosa per sé stessi rispetto all’altra. Per esempio, alcune persone contribuiscono al bene pubblico globale anche quando questo garantisce un ritorno inferiore rispetto al bene pubblico locale. Queste persone potrebbero essere motivate da valori universalistici che prescindono da ragionamenti legati all’efficienza. Al contrario, ci sono casi di contribuzioni al bene pubblico locale quando questo è meno efficiente di quello globale, ovvero quando a parità di ritorni marginali individuali, garantisce un ritorno collettivo inferiore perché ne beneficiano meno persone (il gruppo locale è più piccolo, per definizione). Tali individui potrebbero essere guidati dal cosiddetto particolarismo locale, che scoraggia l’attuazione di comportamenti a beneficio di chi non fa parte del proprio gruppo di riferimento più stretto. In ogni caso, i risultati mostrano chiaramente che il particolarismo locale viene in gran parte superato quando il bene pubblico globale è almeno tanto attraente quanto quello locale in termini di ritorni collettivi: in altre parole, quando il bene globale è efficiente quanto quello locale.
Quando il bene collettivo prevale
“Questo studio è un ulteriore esempio di quello che l’economia comportamentale ci suggerisce, ovvero che spesso gli esseri umani si comportano in maniera tale da portare beneficio ad altre persone, anche al prezzo di pagare un costo per sé stessi”, spiega Pizziol. “Il modello dell’homo oeconomicus, caratterizzato dall’interesse esclusivo riguardo al proprio tornaconto individuale, viene da tempo considerato non realistico per descrivere il comportamento e le scelte delle persone. L’homo socialis è caratterizzato anche dall’interesse verso ciò che accade gli altri”. Si può pensare per esempio al naufragio del Titanic: la maggioranza delle persone a bordo perse la vita per lasciare che donne e bambini si salvassero con le scialuppe disponibili. Un altro esempio sono le opere di volontariato volte al bene collettivo, come le attività di rigenerazione urbana o di raccoglimento dei rifiuti negli spazi pubblici. O ancora i donatori di sangue, che spesso salvano la vita di persone che non conoscono.
Si tratta di concetti solo apparentemente astratti, ma in realtà con ricadute molto concrete che politici e amministratori sarebbe bene iniziassero a conoscere a fondo. Un esempio può essere la sanità: affinché una sanità nazionale venga scelta bisogna che ci sia la percezione che sia più efficiente di quella regionale. Lo stesso vale per la lotta contro i cambiamenti climatici, che potrebbe essere ben più efficiente se condotta a un livello globale. Il rischio è che le singole entità territoriali locali non riescano a ragionare oltre il proprio “vicinato”.
Chiara Palmerini