Così le piante fanno rete nella foresta tropicale

Si organizzano come un sistema complesso attrezzato per resistere ai cambiamenti.

Tommaso Gili | ricercatore in sistemi complessi, Scuola IMT Alti Studi Lucca

In una foresta tropicale, le piante non si dispongono e distribuiscono nello spazio “a caso”, ma si organizzano in modo da formare reti a diverse scale spaziali – da micro a macroscopiche – che sembrano in grado di resistere meglio ai cambiamenti, sia quelli naturali, sia quelli indotti dall’uomo. 

Con un gruppo di ricercatori della Scuola IMT abbiamo testato questa affascinante ipotesi analizzando con i metodi della fisica statistica i dati della stazione di ricerca di Barro Colorado Island, a Panama, dove 300 specie di piante su un terreno di 50 ettari sono state monitorate continuamente per 40 anni. Utilizzando le posizioni di oltre 400.000 alberi e arbusti, abbiamo mappato le cosiddette reti di cluster, ovvero i “raggruppamenti” di piante in cui ciascuna è separata da un’altra da una distanza inferiore a una certa misura. 

Nel nostro studio, pubblicato sulla rivista Pysical Review E, che ha dedicato uno speciale focus di approfondimento all’articolo, mostriamo che nella foresta le specie vegetali dominanti si raggruppano in clusters che seguono una distribuzione scale-free, ovvero il numero di piante incluse in un cluster di una certa dimensione, non cambia se cambiamo la risoluzione spaziale a cui guardiamo il sistema. Questo particolare tipo di organizzazione corrisponde a quello che nella fisica dei sistemi complessi viene definito uno “stato critico”, in cui gli effetti delle perturbazioni si ripercuotono rapidamente in tutto il sistema. Esempi di stati critici sono le condizioni di interfaccia di un sistema che passa da uno stato disordinato a uno ordinato, come il passaggio dallo stato liquido a quello solido.  La condizione all’interfaccia tra due fasi è detta di stato critico e il punto in cui avviene la transizione è detto punto critico.

Mappa della Barro Colorado Island. Cortesia della National Science Foundation

Un crescente numero di prove empiriche suggerisce che i sistemi biologici, di cui una foresta tropicale è un esempio, operino in condizioni che si collocano in uno stato critico, cioè nella linea di confine fra una fase ordinata e una disordinata. Il nostro studio mostra che questo sembra proprio il caso per la foresta tropicale presa in esame. L’organizzazione di questo ecosistema è tale che, se si ricopre la superficie occupata dalle piante con cerchi di piccolo raggio (piccole scale spaziali), si osserva che le piante si distribuiscono a formare piccoli cluster, mentre se si scelgono cerchi di raggio più grande (grandi scale spaziali) la dimensione dei cluster aumenta finché, a un certo valore soglia, un singolo “cluster gigante” arriva a includere quasi tutta la popolazione vegetale. Questo passaggio improvviso dal discreto al continuo (tanti cluster che si fondono in un singolo cluster) è una transizione di fase detta di percolazione. Il raggio critico affinché si osservi tale transizione, per questo ecosistema, è stato stimato essere pari a 5 metri.

D’altra parte guardando come si organizza la singola specie più abbondante, l’arbusto Hybanthus prunifolius, emerge un modello diverso. Per questo arbusto non esiste una transizione brusca dal discreto al continuo, ma piuttosto un intervallo di valori che producono un “cluster percolante”, che si estende sull’area campione e comprende un’ampia frazione della popolazione. In altre parole, la singola specie non ha una scala di lunghezza “speciale”, ma mostra un raggruppamento a livello di sistema su molte scale diverse: il segno distintivo di un sistema che vive in uno stato critico.

Questo tipo di organizzazione sembra offrire un compromesso tra diverse esigenze biologiche, poiché consente alle specie di diffondersi sull’intera area mantenendo la resilienza che deriva dai cluster locali collegati tramite l’impollinazione o altre interazioni a breve distanza. Questa rete scale-free potrebbe essere un meccanismo di auto-organizzazione intelligente per aumentare la robustezza dell’ecosistema. L’analisi dell’enorme mole di dati di Barro Colorado, coadiuvata da simulazioni al computer, ha confermato la nostra ipotesi, aprendo la strada alla possibile definizione di strumenti in grado di monitorare la resilienza dei polmoni verdi della Terra, cruciali per la sopravvivenza e la salute dell’intero pianeta.

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