Com’è cambiata la salute mentale degli italiani dopo il lockdown?

Donne e giovani i più a rischio di disagio psicologico nel periodo post-lockdown.

SPL

La pandemia e le relative misure di contenimento nel 2020 hanno inferto un duro colpo alla nostra salute, non solo a causa del virus e dei relativi problemi sanitari, ma anche per le conseguenze sul nostro benessere psicologico.

Nei mesi di lockdown, in Italia e non solo si è registrato infatti nella popolazione un aumento di sintomi depressivi, ansia, disturbi del sonno, stress percepito e disturbo dell’adattamento, così come di sindromi da stress post traumatico. Ma il malessere di questo periodo ha avuto poi conseguenze? Nel periodo immediatamente successivo al lockdown c’è stato un sollievo o i sintomi sono rimasti o addirittura peggiorati?

A cercare di rispondere a queste domande è uno studio pubblicato su Acta Psychologica e condotto da ricercatori della Scuola IMT Alti Studi Lucca e dell’Innovation Center di Intesa San Paolo. “L’indagine ha mostrato che, mentre nella maggior parte della popolazione si è visto un sollievo anche a livello psicologico dopo la fine del lockdown, circa il 15 per cento del campione analizzato ha continuato a presentare  valori critici di stress psicologico, il 2 per cento sintomi significativi di stress e più del 5 per cento ha superato la soglia critica per il disturbo da stress post traumatico, che comporta una sintomatologia molto invadente e fastidiosa nella vita quotidiana” spiega Maria Donata Orfei, psicologa e ricercatrice dell’unità di ricerca MoMiLab – Molecular Mind Laboratory della Scuola IMT.

Lo studio ha poi evidenziato che i fattori di rischio sono legati al genere e all’età. “Le donne e i più giovani sono i soggetti più a rischio e più suscettibili di sviluppare manifestazioni di disagio psicologico e di workaholism, ossia la sindrome da dipendenza dal lavoro, in questo caso accentuata dall’home working forzato con un prolungamento degli orari lavorativi non giustificato da esigenze produttive”, continua Orfei. “Questi dati sono confermati dalla letteratura mondiale, e sono forse dovuti al fatto che i giovani presentano tendenzialmente una maggiore suscettibilità ai grandi stress emotivi rispetto alla popolazione di età più avanzata. Per quanto riguarda le donne, sicuramente c’è stata una esasperazione del doppio ruolo sociale con l’home working, il quale ha imposto un sovraccarico ancora più acuto per la cura della famiglia, che si è aggiunto all’attività lavorativa svolta da casa”.

La ricerca si è concentrata in Italia nel periodo tra giugno e ottobre 2020, investigando “la presenza di segnali maggiori e minori di disagio psicologico nell’immediata fase pandemica post lockdown, i fattori di rischio demografici e psicologici e le ripercussioni dell’home working prolungato sull’equilibrio psicologico”, come si legge nello studio. I ricercatori hanno potuto contare su un campione di 1401 uomini e donne di età compresa tra i 24 e i 66 anni. “I questionari utilizzati sul campione sono presenti in letteratura e la versione italiana che abbiamo adoperato è validata a livello internazionale, il che rende i nostri risultati piuttosto attendibili”, afferma Orfei. “Abbiamo indagato lo stato affettivo e psicologico, la reazione emotiva, l’adattamento emotivo delle persone e in particolare segnali di abbassamento dell’umore, di ansia e di stress, anche sottili. Abbiamo utilizzato una scala largamente impiegata in studi sul Covid per rilevare la presenza di sintomi post traumatici da stress, e un’altra scala per valutare la dipendenza da attività lavorative”.

“La pandemia ha avuto un effetto assolutamente devastante, si stima che abbia fatto emergere problemi di ansia, di depressione, di abuso di sostanze, di dipendenza almeno del 25 per cento”, aggiunge Pietro Pietrini, psichiatra e professore di biochimica clinica e biologia molecolare, direttore del MoMiLab della Scuola IMT. “Noi siamo esseri sociali, siamo animali sociali, abbiamo bisogno di stare con gli altri. Qui torna il discorso degli effetti della pandemia: la persona che viene esclusa dal gruppo, sia un gruppo fisico sia un gruppo virtuale, soffre.”

Nel loro studio, i ricercatori della Scuola e dell’Innovation Center evidenziano che i dati ottenuti “possono contribuire a sviluppare strategie di intervento efficaci di supporto psicologico alla popolazione generale”. Dall’indagine sono emerse anche indicazioni su quali siano le preferenze in tema di ambiente di lavoro. “Le persone che ci hanno risposto preferirebbero un modello misto di lavoro tra casa e ufficio. Come roadmap si può suggerire alle aziende di rendere il rientro un pochino più dolce, puntando possibilmente a dei modelli misti. Le persone vogliono tornare a socializzare, vogliono tornare in ufficio, vogliono di nuovo avere il contatto con i colleghi, però in un modello più strutturalmente misto, evitando cambiamenti bruschi anche nel sistema lavorativo”, spiega Orfei.

La necessità di progettare interventi per aiutare chi ha avuto ripercussioni psicologiche a causa della pandemia e non solo risulta infine ancora più evidente guardando ai dati relativi al così detto “Bonus psicologo”, contributo stanziato dal governo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia. Dopo solo due giorni dal lancio avvenuto lo scorso 25 luglio, secondo l’INPS più di 100 mila persone hanno presentato domanda, a fronte dei 10 milioni di euro disponibili e sufficienti per circa 16 mila.

Marco Maria Grande

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