Il 9 Novembre, a Palermo, c’è stata la prima edizione del premio ExportItalia, un riconoscimento destinato alle aziende di maggiore successo in ambito internazionale, organizzato da Uniexportmanager col patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione. Lo ha vinto l’impresa sarda di Mariantonia Urru, un’azienda tessile di Samugheo, in provincia di Oristano, specializzata nella fornitura di arredi tessili per il settore alberghiero e in tappeti di alto design.
Quella di Mariantonia Urru è la classica micro impresa italiana a conduzione familiare, con pochi dipendenti e un fatturato modesto. Sulla carta, l’archetipo di azienda con scarso potenziale internazionale: piccola, con processi produttivi artigianali e piuttosto lenti (ci vogliono circa quindici giorni per realizzare un tappeto di cinque metri quadrati) e in un territorio economicamente svantaggiato. Eppure, la specificità del suo prodotto e l’eccellenza del suo processo produttivo ne hanno fatto una realtà di successo a livello internazionale, portandola a esportare in circa quindici mercati in tutto il mondo.
Il know-how per esportare
La storia di Mariantonia Urru è, in realtà, la storia di moltissime imprese italiane che, a dispetto delle piccole dimensioni, hanno ogni potenzialità di conquistare i mercati esteri. L’unico motivo per il quale non lo fanno è che, spesso, le attività necessarie prima di iniziare ad esportare richiedono un grado di know-how dei processi di internazionalizzazione e dei mercati esteri molto superiore a quello disponibile. Inoltre, la struttura logistica necessaria all’esportazione di beni e servizi richiede sovente investimenti ingenti.
Si viene così a generare un meccanismo di selezione naturale darwiniano: solo le imprese più grandi, più produttive o più solide finanziariamente riescono a superare queste “barriere d’ingresso” ai mercati esteri e a diventare esportatrici. È qui che dovrebbero entrare in gioco programmi di sostegno all’export come il progetto SEI (Sostegno all’Export dell’Italia), a cura delle Camere di Commercio, o sistemi di consulenza privata offerti da banche e operatori finanziari, con l’obiettivo di assistere l’impresa e permetterle di superare tali barriere.
Identificare le imprese ad alto potenziale
Ma come si identificano le imprese come Mariantonia Urru, che possiedono le giuste caratteristiche per esportare con successo? La questione è complessa e dipende dalla combinazione di fattori settoriali, finanziari e produttivi. C’è bisogno di uno strumento che sia in grado di valutarli contemporaneamente, declinandoli in maniera specifica nei diversi segmenti di prodotto e di tessuto geografico e industriale di riferimento. Si tratta, cioè, di condensare un’enorme mole di informazioni sull’impresa e le sue specifiche, ricavando una misura informativa delle sue potenzialità di internazionalizzazione. Per un simile compito non c’è niente di più adatto delle moderne tecniche di machine learning, in grado di analizzare enormi volumi di dati e di identificare trend e pattern che caratterizzano un fenomeno: in questo caso, che cosa identifica un potenziale esportatore di successo.
Il machine learning per risolvere problemi complessi
Un gruppo di ricercatori della Scuola IMT ha utilizzato proprio questo approccio, descritto nello studio “Predicting Exporters with Machine Learning”, applicandolo al settore manifatturiero francese. La ricerca ha utilizzato un dataset sulle imprese di questo settore e con tecniche di machine learning ha costruito un indice che misura se un’impresa abbia il potenziale di diventare un’esportatrice di successo e quanto lontana sia da questo obiettivo. Nel loro studio, i ricercatori hanno utilizzato una batteria di cinquantasette diverse variabili: alcune riportavano dati di bilancio, indici di produttività e informazioni di carattere geografico e settoriale, altre erano misure dell’incidenza del numero di esportatori nei segmenti d’appartenenza dell’impresa.
Per analizzare tale mole di dati hanno utilizzato il BART-MIA (Bayesian Additive Regression Tree with Missingness In Attributes), un algoritmo di machine learning bayesiano, basato su alberi decisionali. Il vantaggio di questo algoritmo è che permette a variabili diverse di giocare un ruolo differente a seconda del contesto specifico nel quale l’impresa opera: le caratteristiche dimensionali e produttive della Mariantonia Urru, ad esempio, la classificherebbero come un’impresa non adatta ad esportare, se paragonata a quelle tessili del distretto industriale di Prato. Ma nel contesto della manifattura artigianale sarda queste caratteristiche sono invece sufficienti. Questo è il tipo di contestualizzazione specifica che un modello di albero decisionale è in grado di distinguere e di sfruttare per misurare il potenziale di internazionalizzazione di un’impresa.
Un punteggio da esportatori
Nel progetto di ricerca della Scuola IMT, l’algoritmo BART-MIA ha dimostrato di saper distinguere con una precisione del novanta per cento le imprese esportatrici da quelle non esportatrici. Sulla base dei risultati ottenuti, è stato poi generato un punteggio, chiamato “exporting score”, che misura la distanza di un’azienda dal possedere le caratteristiche di un esportatore di successo. Tale punteggio va interpretato come una misura del rischio associato all’investimento di capitale e risorse nel suo progetto di internazionalizzazione. Ne consegue che tanto più alto è il punteggio, tanto più distante sarà l’impresa dal possedere le caratteristiche di un esportatore di successo e tanto maggiore, dunque, il rischio se si decide di investirvi. Utilizzando l’exporting score è stato possibile, inoltre, identificare – nel contesto della manifattura francese – sacche di potenziali esportatori, ossia aree e settori nei quali ci sono imprese che non stanno esportando, ma che avrebbero tutte le carte in regola per farlo.
Riportati su una mappa, questi dati possono fornire alcune indicazioni interessanti: alcune regioni della Francia non tradizionalmente considerate ad alta produttività sono state identificate come ad alto potenziale. L’Ile-de-France, ad esempio, è ritenuta la più produttiva del paese, alla stregua della nostra Lombardia. Pertanto ci si potrebbe aspettare che sia una regione ad alta concentrazione di potenziali esportatori. Al contrario, lo studio mostra che ci sono altre regioni con maggior potenziale che meriterebbero di essere studiate più da vicino dalle politiche francesi di sostegno all’export. Nella mappa riportata, possiamo osservare che le aree ad alta concentrazione di potenziali esportatori sono raggruppate nella Francia nord-orientale. Al contrario, le regioni della Francia meridionale e i territori extra-europei sono di minor interesse per le politiche commerciali.
Potenzialità dello score e possibili applicazioni
L’exporting score ideato dai ricercatori IMT si configura come un primo tentativo di sfruttare le nuove potenzialità informative generate dal mondo dei Big Data nel contesto dell’economia internazionale. Inoltre, se diventasse uno strumento a disposizione dei policy maker, potrebbe aiutarli a pianificare in maniera più attenta le politiche economiche, investendo nei giusti target e minimizzando lo spreco di risorse.
L’idea è che, da un lato, gli istituti che si occupano di sostegno all’export – come le Camere di Commercio e le banche – possano utilizzare l’exporting score per avere una prima misura di quanto sia rischioso investire in un’impresa che richiede loro dei finanziamenti; dall’altro, che enti e regioni possano identificare, nell’ambito del proprio bacino di riferimento, potenziali esportatori e le loro caratteristiche. L’algoritmo stesso, infatti, produce statistiche dettagliate a livello settoriale e regionale su quali siano gli aspetti salienti che definiscono un buon esportatore in diversi contesti. Questo permetterebbe ai policy maker di produrre misure di intervento specifiche a seconda delle barriere identificate dall’algoritmo.