Anche se tendiamo a darla ormai per scontata, la gratuità assoluta della donazione di sangue, su cui si regge tutto il sistema delle trasfusioni, è in vigore in Italia solo dal 1990. Seppure il 2021 sembra aver segnato in Italia la ripresa della raccolta, l’Associazione volontari italiani sangue (Avis) registra per il numero di donazioni una tendenza negativa, aggravata dall’emergenza Covid, con un calo del 5 per cento negli ultimi dieci anni. Sostenere la motivazione al dono è dunque un’azione necessaria perché le trasfusioni che – ricordiamolo – sono necessarie in moltissimi interventi chirurgici e nel trattamento di malattie immunitarie, regga.
Un progetto di ricerca della Scuola IMT ha indagato proprio per cercare di comprendere le dinamiche che concorrono a definire l’identità del donatore e la tendenza a compiere regolarmente la donazione, ovvero a comportarsi in modo altruista. Lo studio, condotto da ricercatori delle unità MoMiLab (Molecular Mind Laboratory) e AXES (Laboratory for the Analysis of compleX Economic Systems), in collaborazione con le sedi regionali di Toscana, Emilia-Romagna, Puglia e Lombardia di Avis, è la più vasta nel nostro paese su questo tema e, per la prima volta, ha permesso di confrontare il comportamento dei donatori italiani, che non ricevono compensi per il loro gesto, con quello degli ungheresi, nazione in cui invece la donazione di plasma prevede una remunerazione.
Donazioni a confronto
I ricercatori hanno indagato le motivazioni sociali e psicologiche alla base della donazione tramite un questionario online, scoprendo che nella donazione volontaria e in quella rimborsata sono all’opera spinte diverse. La donazione non rimborsata, quella vigente nel sistema italiano, porta a sviluppare nei donatori delle motivazioni definite dai ricercatori intrinseche, cioè in grado di sostenersi da sole e con fini altruistici. Nel caso invece di donatori rimborsati, come avviene per esempio nel sistema ungherese preso in considerazione nello studio, che prevede un sistema di remunerazione della donazione, la spinta altruistica viene erosa e diminuisce nel tempo.
I dati raccolti mostrano infatti che nei paesi che prevedono il riconoscimento di benefit finisce per crearsi un interesse legato soprattutto all’ottenimento di vantaggi materiali, senza una vera e propria motivazione personale dei donatori. Questa mancanza rende alla lunga fragile il sistema, e lo espone a dinamiche economiche e di mercato. Negli Stati Uniti, per esempio, durante la pandemia, le donazioni di plasma sono diminuite non appena l’amministrazione Biden ha introdotto sussidi più convenienti rispetto ai rimborsi previsti per le donazioni di plasma. La stessa situazione di emergenza può invece generare effetti opposti in paesi dove la donazione è gratuita. Un altro studio realizzato da ricercatori della Scuola IMT e appena pubblicato sulla rivista Social Science and Medicine mostra infatti che in Toscana le donazioni di sangue sono cresciute, facendo regredire il calo osservato negli ultimi anni, proprio durante la pandemia.
La carriera di una vita
A incidere sulle motivazioni è anche l’esperienza dei donatori. “Più esteso è il periodo di tempo in cui si sviluppa la ‘carriera’ dei donatori, maggiore è il numero delle fonti di motivazioni che li sostengono”, spiega Dario Menicagli, ricercatore della Scuola IMT, tra gli autori dello studio. “In particolare, con il passare del tempo si crea una motivazione intrinseca, ossia la donazione diventa qualcosa di significativo, un valore coerente con i propri valori personali”. Nel campione di donatori rimborsati, questo tipo di motivazione arriva invece a un tetto massimo per poi diminuire nel tempo perché il rimborso, o comunque una motivazione esterna, la soppianta ed entra in conflitto con il nascente sviluppo di motivazioni interne all’individuo. Vivere in un ambiente vicino al mondo della donazione aiuterebbe inoltre a reclutare nuovi donatori, secondo Menicagli: “la maggior parte dei donatori inizia il proprio percorso perché qualcuno in famiglia, o tra le persone vicine, aveva già esperienza nella donazione, e ne diventa quindi promotore.”
Capire quali sono le motivazioni e le spinte verso il dono può anche aiutare a progettare interventi specifici. Ottenendo i profili motivazionali dei donatori, per esempio, è possibile costruire una comunicazione indirizzata a specifici gruppi target e diverse fasce d’età. “L’obiettivo non è tanto quello di creare nuovi donatori, quanto di rafforzare le motivazioni in chi già dona, in particolare i giovani”, continua Menicagli. Sul tema dello studio e della promozione dei comportamenti altruistici, specialmente nei giovani, la Scuola IMT è impegnata con varie iniziative. I gruppi di ricerca della Scuola, in collaborazione con il Game Science Research Center, hanno prodotto un gioco da tavolo, Capitan AVIS, che mira a far conoscere ai bambini della scuola primaria il mondo della donazione.
Marco Maria Grande